tratto dall’introduzione del libro “RESPIRO VIVO”

Nella tradizione classica, da Omero a Socrate, con il termine ψϋχή “psiche” veniva identificata la prima e più importante funzione vitale, il respiro, e veniva a corrispondere ad un concetto di soffio vitale, di anima.

Già la civiltà greca, dunque, aveva individuato nell’atto del respirare uno degli aspetti più profondi ed essenziali dell’essere umano, tanto che diverse filosofie e religioni hanno fatto di questo “soffio” l’elemento primordiale e generativo dell’esistenza umana. Quella di “respirare” è la prima richiesta che il mondo fa ad ognuno di noi, come se il respiro fosse la via di accesso alla vita, un’esperienza traumatica che definisce la linea di demarcazione tra ciò che è stato e ciò che sarà.

E così quest’atto tanto necessario ed essenziale quanto automatico ed istintivo, viene sottovalutato e quasi se ne dimentica il suo significato antropologico e psicologico, e quello prettamente fisiologico.

Respirare significa ossigenare il sangue ed eliminare l’anidride carbonica prodotta dai vari processi metabolici del nostro organismo. L’atto respiratorio, compiuto spontaneamente, senza essere governato dalla nostra coscienza, è distinto in una fase inspiratoria, di solito più breve, ed una fase espiratoria, separate da pause quasi impercettibili. L’alternanza di inspirazione ed espirazione è governata da una complessa rete di interconnessioni neuronali che fanno capo a circuiti respiratori bulbopontini, come il centro pneumotassico, e fibre afferenti deputate a modulare il comando centrale dei muscoli respiratori.

Questi centri, a loro volta, sono connessi a chemorecettori centrali, situati sulla superficie ventro-laterale del bulbo, e periferici, localizzati a livello dei glomi aortici e carotidei, ed a meccanocettori polmonari di stiramento che ne influenzano l’attività di scarica inibitoria ed eccitatoria. Non è ben chiaro come si generi l’alternanza delle fasi inspiratoria ed espiratoria, per questo sono stati proposti diversi modelli fisiologici: “a rete” dove l’alternanza è frutto delle interazioni eccitatorie ed inibitorie neuronali; “a segnapassi o pacemaker”, in cui questa rotazione è frutto di proprietà intrinseche a carico della membrana neuronale, tipo le cellule pacemaker cardiache; oppure “ibrido” dove neuroni pacemaker vengono influenzati dalla rete neuronale e viceversa.

In ogni caso, questa complessa rete neuronale deve far fronte ad una serie di necessità, prevalentemente di natura metabolica, ma anche di coordinamento con altre richieste fisiologiche quali il mangiare, il parlare, il dormire e non ultimo, la risposta a stimoli emotivi. Per questo si parla di psicofisiologia della respirazione, in cui la modulazione volontaria ed emozionale dei pattern respiratori, vede coinvolte diverse aree cerebrali come i circuiti soprapontini, localizzati in aree limbiche, preposte solitamente al controllo emotivo. Ogni stato d’animo trova il suo corrispettivo nel respiro, ogni somatizzazione corporea si esprime mediante il respiro: un soggetto rilassato avrà un respiro lento (bradipnea) caratterizzato da un’ampia espirazione; un soggetto teso avrà un respiro corto e affannato (tachipnea), con una breve espirazione. Studi di psicofisiologia hanno evidenziato una fitta relazione tra il pattern respiratorio e la componente emozionale, dimostrando come durante l’inspirazione, l’ampiezza della parte alta del torace e la velocità di inspirazione, correlassero con una sensazione di ansia.

Da qui ci si rende conto che la respirazione non è semplicemente un atto fisiologico predisposto al mantenimento di un adeguato livello di ossigeno e di anidride carbonica, ma diventa un ritmo vitale. Un ritmo che è il frutto, certamente di inibizioni ed eccitazioni neuronali reciproche, se lo vogliamo vedere dal un punto di vista meramente fisiologico, ma anche la sintesi della nostra interazione con ciò che ci circonda, per cui la sua frequenza e profondità diventano espressione della nostra capacità di percepire, sentire ed apprezzare gli stimoli provenienti dall’ambiente circostante. Uno degli esempi per capire come il controllo volontario del respiro influisca sui sistemi fisiologici dell’organismo, mediando le emozioni e modificando la risposta autonomica e cerebrale è certamente il Pranayama. Il rallentamento del respiro nel Pranayama, caratterizzato da una regolare e lenta frequenza respiratoria associata a lunghi periodi di ritenzione, “reimposta” il controllo autonomico mediante segnali inibitori e correnti iperpolarizzanti, variando il processamento dell’informazione a livello talamo-corticale, tanto da migliorare la risposta fisiologica in particolari condizioni come l’assenza di ossigeno.

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Questo stato di profondo rilassamento associato a consapevolezza di sé, delle proprie sensazioni fisiche e delle proprie emozioni, legato dunque al controllo volontario del respiro, è stato equiparato a quello che si ottiene recitando l’Ave Maria in latino o un mantra buddista. Il ripetersi di alcune formule ritmiche riducono la frequenza respiratoria portandola da 12-16 a 6 atti respiratori al minuto, secondo un fenomeno inconscio definito entrainment, ovvero la sincronia di fase tra i ritmi fisiologici e i ritmi ambientali, in questo caso,le onde sonore musicali.

In questa condizione, i principali ritmi vitali del nostro corpo, il ritmo respiratorio ed il ritmo cardiaco, entrano in sincronia l’uno con altro generando una condizione chiamata “Sincronizzazione cardio-respiratoria”, condicio sine qua non per indurre uno stato di profondo rilassamento.

Ritmo respiratorio, dunque, inteso come il susseguirsi in maniera regolare di una sequenza di eventi, che insieme ad altri segnali vitali provenienti dal cervello, dal cuore, dal polmone, o dal linguaggio, sovraintendono al geniale marchingegno del corpo umano, definibile come sistema finemente integrato e complesso, che include tutti i ritmi sopracitati e la cui somma non corrisponde al semplice lineare dato algebrico. Segnali che solo apparentemente sono distanti tra loro, ma che in un contesto “caotico” o “frattale” possono dare origine ad un ritmo interiore, che non è altro che il ritmo vitale di ognuno di noi.

Alessandro Pingitore

Istituto di Fisiologia Clinica, CNR, Pisa